Il dipinto, raffigurante la morte di San Galgano, è il risultato della collaborazione di Ventura Salimbeni e Francesco Vanni; è probabile che si debba al primo la composizione della scena e le figure del gruppo centrale, mentre spettano al secondo il gruppo con il Cristo e gli angeli in gloria e il colorito freddo dell’insieme. Il soggetto rappresentato è quello della miracolosa morte del Santo, che spira durante l’adorazione del Crocifisso continuando però a mantenere la posizione da orante anche dopo il trapasso. Ad assistere alla scena sono anche due alti prelati, distinguibili per il manto azzurro e il capello a falde larghe, che sembrano commentare tra loro l’evento pieni di stupore e ammirazione. La proposta di datare l’opera all’inizio del Seicento trova conferma nelle caratteristiche stilistiche del dipinto, in cui i colori squillanti, il gusto narrativo spesso incline al sentimentalismo e i rimandi al pittore urbinate Federico Barocci vengono integrati dal confronto della coeva pittura fiorentina del Cigoli. In basso al centro San Galgano, riconoscibile dalla veste e dall’attributo iconografico della spada, inginocchiato in preghiera e circondato da angeli. Sulla sinistra un drappello di astanti con due prelati. In alto Cristo con Croce e corona floreale circondato da angeli in volo; sul fondo, tra le querce, figure a cavallo in abiti moderni. Notevole apprezzamento della tela da parte del Romagnoli (“Biografia…”), che la dice iniziata nel 1606 e terminata da Francesco Vanni, come già l’Ugurgieri, con accurata descrizione e accostamento, in certi brani, allo stile del Cigoli. Un disegno preparatorio è conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, pubblicato in P.A. Riedl 1976, pp. 68-70, fig. 73. Il Riedl sottolinea la difficoltà nel distinguere le mani dei due fratelli pittori in questa tela “capolavoro della pittura senese attorno al 1600”. Per Bagnoli sono del Salimbeni la composizione della scena e le figure del gruppo centrale, mentre spettano al Vanni il gruppo con “Cristo e angeli in gloria” e il colorito freddo.
Il dipinto fa parte del piccolo ciclo di tele, dedicate alla vita del Santo, che include le due tele ad opera di Rutilio Manetti, L’arcangelo Michele appare a San Galgano e I parenti tentano di distogliere San Galgano dalla vita eremitica, datate entrambe 1613. L’iconografia si basa principalmente sulla biografia, Vita del gloriosissimo San Galgano senese da Chiusdino scritta dal domenicano Gregorio Lombardelli. Seguita dal Salimbeni fedelmente (così come dal Manetti per le due tele minori), il pittore se ne distacca per qualche piccolo particolare, come la testa del santo reclinata, e non alzata verso il cielo, o l’abbigliamento dello stesso, che indossi sì la pelle donatagli dal cacciatore, ma porta ancora il mantello, a ricordare l’originario status di cavaliere.
La tela è stata sottoposta a un intervento di restauro, che ha previsto la pulitura e il ritocco di alcune lacune, nel 2020 dal restauratore Luca Antonelli. Da questo sono emersi una serie di elementi che hanno permesso di indentificare le tracce di un precedente intervento, datato “1799”, assimilabile a quello compiuto sul dipinto della parete opposta, il Matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena, di Francesco Vanni. Molto probabile è, che in conseguenza, ci si trovi davanti ad un intervento realizzato nel medesimo contesto con poche differenze significative, necessario dopo i danni (il crollo completo della volta) che la Chiesa di San Raimondo subì a causa del terremoto che colpì Siena nel 1798.